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LEI
(HER)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 17 marzo 2014
 
di Spike Jonze, con Joaquin Phoenix, Scarlett Johansson, Amy Adams, Rooney Mara (Stati Uniti, 2013)
 
Uno dei meriti dell'imprevedibile genialità di Spike Jonze (dopo ESSERE JOHN MALKOVICH, nel 1999, molti straordinari videoclip) è di confrontarci alle conseguenze della pigrizia di chi rifiuta i film in versione originale e integrale in nome di un presunto fastidio di leggersi i sottotitoli. Giusto castigo: essi vengono ora privati non solo del corpo (il che capita anche al protagonista di HER) ma pure di quella che è in definitiva la vera protagonista del film, la voce di una Scarlett Johansson che rimane sempre invisibile. Certo, rimarrà loro pur sempre il protagonista maschile, un Joaquin Phoenix magnifico d'introspezione, in sfida continua con una cinepresa che non gli da tregua, che lo scruta epidermicamente in ogni sua mutazione espressiva. E questo proprio in un film il cui tema principale è la ricerca di un amore che ci ripaghi della rimozione del corpo in parallelo all'evoluzione sfrenata delle tecnologie.

In un futuro assai prossimo e per nulla fantascientifico che il regista suggerisce in un contenitore dal futurismo incantato, Theodore utilizza ancora il proprio corpo, oltre al computer al quale rimane incollato: in particolare le proprie mani, con le quali calligrafa lettere poetiche a pagamento, per conto di cyber navigatori che per quel genere di sfizio non hanno ormai più tempo. Eccolo in fase oltretutto di accorato divorzio, scoprire un programma inedito, un sistema operativo che gli permette di dialogare con l'intelligenza artificiale di Samantha. Non è che una voce (proprio quella provvista della sensualità inimitabile di Scarlett Johansson); ma in continuo apprendimento, in evoluzione cognitiva, progressiva emotività. E intimità amorosa…

Come possa andare a finire, come una crescente passione virtuale possa concludersi in estasi carnale non è la ragione d'essere di un film sonnambolico, costantemente in bilico fra solitudine, ironia e disincanto; ma non contate su di me perché ve lo racconti, anche se la sequenza che tenti di risolvere l'equazione impossibile risulterà fra le più struggenti di HER.

A dimostrazione ennesima di come il cinema non sia fatto di storie ma di “modi” di come raccontarle, la credibilità del film non è però quella di una assurdità crescente; ma dell'involucro all'interno del quale questa galleggia e finisce per significarla. Se quella di Samantha è soltanto un'entità virtuale, altrettanto lo sono i personaggi che popolano l'universo attorno al protagonista, incollati ai loro telefonini e aggeggi tecnologici, immersi in un acquario che sempre più perde il contatto con la realtà, con la materia di cui sono fatti i libri e le lettere d'amore che Theodore ancora compila manualmente.

Una bolla tragicomica e sognata che Spike Jonze ha costruito filmandola soltanto in ambienti naturali e privi d'identità, personaggi vestiti come negli Anni Trenta ma sullo sfondo di Los Angeles e una Shanghai fra contemporaneità e edilizia antica, evitando le tinte fredde e aggressive, i blu, i verdi cari alla fantascienza, privilegiando al contrario il calore e la convivialità dei rossi, dei gialli, delle trasparenze pastello. Amabile o perversa a seconda dei punti di vista, l'evoluzione di Samantha, l'acquisizione di una coscienza che la conduce però ai piedi di un muro invalicabile diviene allora quella della società che l'ha prodotta.


   Il film in Internet (Google)

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